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La chitarra elettrica “vintage” 2° parte
“Ma è vintage o semplicemente vecchia?”
By Fabio Antonio Calò
La chitarra elettrica “vintage” 1° parte .
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte .
LA STORIA
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte . All’inizio degli anni ’30, l’idea di amplificare il suono della chitarra nacque in casa Rickenbacker, suscitando grande interesse nell’industria americana delle sei corde, il cui allora massimo produttore era Gibson, che ne esplorò a fondo le potenzialità realizzando versioni elettrificate dei suoi più pregiati strumenti e creandone poi di originali alla fine degli anni ’30.
Presto vari problemi emersero dall’amplificazione delle chitarre, quali il feedback (effetto Larsen) e l’hum (ronzio di fondo). Paul Bigsby risolse il problema drasticamente, realizzando la prima chitarra elettrica a corpo solido “spagnolo”, cioè non di tipo “hawaiano”. Pochi furono gli strumenti da lui costruiti, interamente a mano e per pochi fortunati chitarristi californiani.
Infatti fu Leo Fender ad avviare, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50, la prima produzione di massa, progettando nel 1950 la Broadcaster – ribattezzata poi Telecaster – e la Stratocaster nel 1954, subito apprezzate per la sonorità, per il design a quei tempi rivoluzionario ed ergonomico ma soprattutto per il prezzo decisamente contenuto.
Allora uno sconosciuto chitarrista di nome Les Paul costruì e propose alla Gibson nel 1946 ciò che definì “the log” (il tronco): un manico Gibson con tastiera Larson Bros, un corpo cavo Epiphone spaccato in due pezzi attaccati ad un’asse su cui erano montati due pick-up avvolti da lui stesso.
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte.
Ma “il tronco” di quell’allora sconosciuto chitarrista non fu preso in considerazione, sebbene il suo suono eccellente e il feedback quasi assente ne facessero già il prototipo di quello che sarebbe divenuta più avanti l’apoteosi della chitarra elettrica, la “Gibson Les Paul”.
Infatti, appena Fender lanciò sul mercato Tele e Strato con grande successo, alla Gibson si ricordarono di quel chitarrista stravagante che, dissero, “aveva messo due pick-up su una scopa”. Nel frattempo quel tipo era diventato il chitarrista più famoso negli USA
(a quei tempi guadagnava un milione di dollari l’anno).
Se Fender aveva privilegiato praticità ed economicità, Gibson volle realizzare strumenti senza compromessi, con la bellezza e l’eleganza che da sempre aveva distinto i suoi prodotti.
Il progetto nato dalla collaborazione con Les Paul fu una chitarra a corpo solido, molto diversa dal suo “tronco”, ma che comunque prese il suo nome e divenne la chitarra più desiderata nella storia. Nacque infatti nel 1952 la Les Paul gold top (color oro), ribattezzata nel ’58 Les Paul Standard dal colore “bruciato” (sunburst) e magari fiammato (flamed top), poi nel 1954 la Les Paul Custom “Black Beauty” di colore nero e meccaniche dorate.
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La chitarra elettrica “vintage” 2° parte
Per competere col design futuristico di Fender, furono realizzate verso la fine degli anni ’50 soltanto 98 Flying V e 22 Explorer, modelli inizialmente snobbati dal mercato e che poi, quando Eric Clapton e Dave Davies le scelsero, divennero rarissimi oggetti di culto.
Se il corpo solido era la soluzione definitiva del feedback, non soddisfaceva però il gusto di tanti musicisti affezionati alle hollow body (corpo cavo). Si riprese allora l’idea del tronco di Les Paul, col pezzo di legno massello al centro su cui montare i pick-up e le due semicasse di risonanza intorno: nacquero così nel 1958 i modelli in compensato semi-hollow ES335, ES 345, ES355, dall’altezza della cassa armonica molto ridotta rispetto alle più classiche e nobili “arch-top”in massello L5 o Super 400. Quella soluzione incontrò grandi riscontri, seppure il massello centrale fu rimosso molto presto negli anni successivi.
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte
Se il 1954 fu l’anno d’esordio della Stratocaster, con una suonabilità non eccezionale, il ’55 e ancor più il ’56 furono invece gli anni d’oro della produzione Fender. Oggi suonare una Stratocaster del ’56 è una sensazione indescrivibile: la chitarra risuona così tanto, emette così tante vibrazioni armoniche nelle mani del musicista al punto che egli stesso si sente risuonare insieme ad essa. Risuona la sua anima, aumentando finanche la sua ispirazione artistica e addirittura le sue capacità tecniche. Egli si “sente suonato” dalla Musica: ecco cosa si prova con alcuni strumenti musicali!
Il timbro cristallino di una Strato del ’56 è forse la massima espressione della chitarra elettrica, capace di smuovere le emozioni più incredibili. Così come il crunch tagliente di una Les Paul Standard del ’59 o dell’overdrive caldo di una Custom Black Beauty del ’60: la magia di quei suoni non si riscontrava più già nel 1968, anno in cui riprese la produzione dei Les Paul interrotta alla fine del 1960.
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte
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Già una Les Paul del 1968 risuonava molto ma molto meno di una 1960, nemmeno paragonabili! La cosa importante da capire è che GIA’ nel ’59 una Gibson suonava in quel modo e cioè non è per l’invecchiamento che oggi quelle chitarre risuonano così tanto e bene, bensì proprio per quella qualità costruttiva generale degli anni ’50..
Invece dal ’68 si cominciò ad usare colle più gommose, che avrebbero impiegato anni a indurirsi e quindi bloccare sempre meno le risonanze, ma non sarebbero mai più “sparite”. Così per le vernici sintetiche e scadenti, i legni sbagliati: questi strumenti non potranno mai suonare come le opere d’arte degli anni ’50. Mai.
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte .
Beh allora è giunto il momento di dire: figuriamoci uno strumento dell’attuale produzione Gibson o Fender! Cari amici, rassegniamoci, perché quegli oggetti erano unici e soltanto un liutaio davvero geniale, colto e capace potrebbe in qualche modo avvicinarne le sonorità. Qualcuno che abbia avuto le risorse economiche ed energetiche di provare per anni strade diverse ed essere giunto a riscoprire ciò che i vecchi liutai di allora avevano capito.
Dovrebbe però avere a disposizione anche la materia prima di allora, come l’ha avuta in effetti il mio amico Max Baranet, famoso liutaio americano, che da anni costruisce chitarre per artisti come Slash o Billy Gibbons con legni provenienti dalla selezione Gibson degli anni ’50 , ma che soprattutto conosce i segreti della costruzione Gibson poiché suo padre era uno dei liutai presso la storica fabbrica negli anni ’50. Le sue chitarre migliori, costruite negli anni ’80 e ’90, sfiorano oggi i 50mila dollari.
Ricapitolando, abbiamo descritto strumenti straordinari degli anni ’50, ottimi degli anni ’60, discreti degli anni ’70, pessimi dagli anni ’80 in poi fino ai mediocri della produzione attuale.
Quindi, per rispondere alla domanda iniziale, dipende da quale “vintage” si stia intendendo. Spesso una Les Paul Custom degli anni ’80, pesante fino al doppio di una Black Beauty del ’60, suona scura e priva di attacco, a causa delle colle, dei legni scadenti, delle verniciature spesse. Perciò è possibile, se non probabile, che una buona scelta nella produzione moderna possa suonare meglio. Tuttavia, l’oggetto nuovo, per quanto ben suonante potrà sembrarci, non avrà mai quel timbro “vecchio” e magico dello strumento, anche poco pregiato e risonante, degli anni ’80.
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte
IL SUONO
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte . Dagli anni ’50, ci sono i “fenderiani” e i “gibsoniani”. Due strumenti, due suoni e due approcci all’esecuzione molto differenti e insostituibili, ma a mio avviso complementari.
Una Fender si sceglie per le sonorità più “pulite”, il timbro trasparente e l’attacco più sferragliante. Una Gibson per il suono più ricco, più “grosso”, più tridimensionale.
In casa Fender, la Stratocaster rappresenta da sempre nell’immaginario collettivo la chitarra elettrica per eccellenza: delle cinque posizioni dello switch (all’inizio solo tre), la seconda e la quarta – pickup al ponte più centrale e pickup al manico più centrale – sono le due sonorità più utilizzate nella storia del rock (David Gilmore, Steve Ray Vaughan, Mark Knopfler), sebbene Hendrix utilizzasse spesso il pickup al manico, timbro più grosso e caldo.
Lui usava Strato CBS, post ’65 per intenderci, col classico palettone, dal sound molto più aggressivo e sferragliante. Dal ’60 al ’65, quelle più utilizzate dai grandi miti del rock, sono più morbide all’attacco, meno taglienti e tendenti alla saturazione. Prima invece, negli anni ’50, si ha certamente il massimo della produzione di casa Fender.
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte .
Strumenti dalle sonorità calde e ricche, definite senza essere sferraglianti: poesia e magia allo stato puro! In quegli anni esisteva solo il manico in acero, accoppiato al corpo in ontano per un risultato sonoro più caldo oppure in frassino per un attacco più definito ed aggressivo. Più avanti arriverà la tastiera in palissandro brasiliano sul manico in acero, per competere in qualche modo col più ricco sound Gibson. Fino al 1961, lo strato di palissandro è spesso fino a 4 mm (modello Slaboard), più avanti e fino ai nostri giorni diviene circa 1 mm.
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte .
Dal 1965, il palissandro brasiliano sarà sempre più raro sulle Stratocaster fino a sparire completamente.
Ci sono anche altre chitarre di grandissima qualità in casa Fender, riferendomi soprattutto alla Jazzmaster. Concepita da Leo proprio per i jazzisti, non ebbe grande riscontro commerciale per le sue sonorità più morbide e scure, per divenire un must per i chitarristi surf.
Invece una Gibson la si desidera intanto anche solo per l’aspetto estetico: bellissima, elegante, lussuosa. Ma soprattutto per il suo caratteristico e imbattibile suono distorto: dal crunch al metal, il suono delle Les Paul Standard e Custom ha caratterizzato migliaia di album rock.
Per il suono blues, la ES335 è l’icona per eccellenza. Utilizzata dal suo anno d’esordio e comunque d’oro, il 1958, le sue sonorità caldissime e morbide la fecero preferire da B. B. King e la stragrande maggioranza dei bluesman americani, nonché dal jazzista John Scofield.
A proposito di jazz, la L5 in massello e la ES175 in compensato dal suono scuro e un po’ gonfio sono state le scelte di leggende quali Joe Pass, Tal Farlow, Wes Montgomery, Pat Metheny.
I primi anni ’50 vedono i modelli Les Paul del ’52 con alcuni errori d’ingegnerizzazione che li rendono quasi insuonabili a causa dell’angolazione del manico e della conformazione del ponte.
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte .
Negli anni successivi questi problemi vengono risolti sempre più, con l’adozione del Tune-o-matic nel ’55 fino ai mitici PAF nel ’57, gli humbucker (riduttori di ronzio), fino alla realizzazione del capolavoro assoluto e ineguagliato: la Les Paul Standard del 1959.
Fino a fine ’56, la Gibson montava i suoi comunque splendidi pickup P90 sulla sue Les Paul: i soapbar sulle standard e i dogear sulle Junior. Dopo d’allora, utilizzò i PAF neri, mentre bianchi e zebra solo nel ’59. Nel 1960, per competere col look aggressivo e moderno delle Stratocaster, la Gibson creò un modello nuovo di Les Paul, la SG. Il look del modello non piacque affatto a Les Paul che nel ’64 intimò la Gibson a togliere il suo nome dalla chitarra. Lui amava la Custom a tre pickup, nera e detta appunto Black Beauty, tutta in mogano e tastiera in ebano, dal suono più morbido e jazz: vedi Robert Fripp, Peter Frampton.
La Standard era invece in mogano con top in acero e tastiera in palissandro, dal suono più tagliente ed aggressivo: vedi Jimmy Page, Billy Gibbons, Paul Kosoff.
La SG era una chitarra molto diversa, tutta in mogano ma dal corpo più fine, quindi dalle sonorità meno robuste rispetto alle Les Paul. Fu comunque molto apprezzata da chitarristi come Angus Young e il (più) grande chitarrista-compositore del secolo scorso, Frank Zappa.
Dal 1968, la Gibson decise di riprendere la produzione dei Les Paul, Standard e Custom, mantenendo comunque il modello SG a parte.
Ebbene i legni, la costruzione, le colle, le vernici, i pickup, non furono più gli stessi!
Si andò cercando sempre maggiori compromessi e la competizione tra le case costruttrici portò all’industrializzazione e a minor qualità.
Bastava già allora provare a confronto le chitarre anni ’50 con quelle anni ’60 per notare una differenza abissale, figuriamoci con le produzioni attuali.
Un po’ per questo motivo e soprattutto perché utilizzate da quei chitarristi che hanno segnato la storia della musica, oggi una Gibson Standard del ’59 ha raggiunto la quotazione stellare di 250mila dollari in su, una Custom Black Beauty del ’60 di 30mila in su, una Fender Stratocaster del ’56 di 25mila dollari in su.
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte
Per ascolti e infoemail: sophoshiend@gmail.comBruno Fazzini – tel. + 39 347 1402138 |
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CONCLUDENDO
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte . E’ dunque solo il piacere di possedere gli strumenti delle “leggende” ad averne fatto lievitare il valore? O è forse la gioia che donano al fortunato che le suona, ispirandolo e facendogli sentire di essere lui stesso lo “strumento musicale” del Cielo?
Oppure ancora sono le ciniche leggi di un mercato senza senso che portano i collezionisti feticisti a desiderare dei giocattoli costosi e prodotti in quantità limitata, magari ignorandone altri di qualità anche superiore ma meno esclusivi, a prescindere dal valore tecnico legatovi ma soltanto per poterli esibire in una teca o addirittura chiuderli in una banca?
Non si può far altro che provarli tutti.
Per poi tornare sulla Terra, serbandone il ricordo per sempre.
La chitarra elettrica “vintage” 1° parte .
La chitarra elettrica “vintage” 2° parte .
Straordinario articolo di Fabio Antonio Calò, sui segreti de ” La Chitarra Vintage”, Gibson, Fender….
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