Enrico Zanisi Trio
Enrico Zanisi, piano
Joe Rehmer, bass
Alessandro Paternesi, drums
Jamboree Festival Jazz – Varsavia
27 novembre 2014
di Eugenio Cardi
Poco più di 20 anni di età, eppure Enrico Zanisi è già una vera e concreta realtà del panorama jazzistico italiano: non solo è salito sul gradino più alto del podio del Top Jazz 2012 quale “miglior nuovo talento” del jazz italiano, ma si è anche aggiudicato una prestigiosa borsa di studio per frequentare la prestigiosissima Berklee di Boston, dove ha potuto incontrare calibri del genere di Kenny Werner e Marvin Stamm.
E adesso, il 27 di questo mese, tra pochissimi giorni, è a Varsavia con il trio da lui diretto, al Jamboree Festival Jazz.
Il disco di esordio di Zanisi è del 2008 (“Quasi troppo serio“); da allora, ha già al suo attivo collaborazioni prestigiose ed importanti, che vanno da Stefano Di Battista a Fabrizio Bosso, da Javier Girotto a Andy Sheppard, e tanti altri.
Ecco cosa ha dichiarato in una intervista di recente riguardo ai suoi inizi: “Provengo da una famiglia di musicisti, mio padre flautista e mia madre pianista entrambi diplomati. Il pianoforte era in casa, un piccolo verticale che mia madre usava per impartire lezioni e io ero abituato ad ascoltare musica di qualsiasi genere anche se prevalentemente classica. Non ricordo ovviamente il momento esatto, ma venne un giorno in cui decisi di conoscere meglio quel bel mobile in salone.
Cominciai a riprodurre brevi melodie, quelle classiche canzoncine che ti vengono insegnate alla materna; mi accorsi di avere intuito e soprattutto mi divertivo molto. I miei mi fecero cominciare il percorso classico con un ottimo insegnante che mi vedeva una volta a settimana; non era difficile imparare la tecnica, come non lo era leggere la musica degli autori classici, perciò passavo molto più tempo a suonare Remo Vinciguerra o a strimpellare qualsiasi cosa che mi passava per la testa. Ho praticato musica da camera fin dagli 8 anni, in duo con violino, flauto, in trio con violino e violoncello, in piccolo ensamble, orchestra; ho ricordi meravigliosi di pomeriggi passati con altri ragazzi a suonare e a giocare a pallone mentre i genitori preparavano le merende” (MitoSettembreMusica.it).
E adesso, di passo in passo, ce lo ritroviamo – in compagnia del suo trio – in quel di Varsavia, città polacca impegnativa, ricca di storia, di cultura e di tormenti; ricordiamo infatti quante e quante volte la Polonia è stata nella storia – anche più o meno recente – terra di conquiste e di spartizioni. L’ultima terribile occasione in questo senso, è dato dal famigerato patto Molotov-Ribbentrop firmato nel ’39 a Mosca che prevedeva – tra le altre cose – la spartizione della Polonia tra la Germania di Hitler e la Russia di Stalin. Varsavia l’ho visitata, così come Cracovia.
Devo confessarvi sinceramente di preferire quest’ultima, da visitarsi possibilmente in autunno avanzato, quando le foglie degli alberi assumono colori variopinti ed unici. Anche Varsavia è sicuramente affascinante, soprattutto per quel che rappresenta da un punto di vista storico-culturale, ma subito fuori dal piccolo centro storico lascia immediatamente spazio a una subitanea periferia industrializzata e spoglia, cosa quest’ultima che a Cracovia (per fortuna) manca del tutto.
A Cracovia c’è un gran fermento culturale legato soprattutto alla prestigiosa università che fa riempire le strade acciottolate del centro storico di una fiumana quotidiana di giovani. A notte, ci si può soffermare a bere una birra in locali storici che vi riportano in pieno ‘800, o magari facilmente andare ad assistere ad un concerto di solo piano su musiche di Chopin, seduti su sedie di legno in stanze che affacciano sulla piazza principale, così come è accaduto a me qualche anno fa, assistendo ad un magnifico concerto di piano solo ad opera del concertista polacco Mariusz Adamczak.
Tornando a Zanisi, ecco quel che ha dichiarato in un’intervista rilasciata a JazzItalia.it: “Io ho fatto un percorso che abbraccia molte realtà musicali. La traccia principale per me è la musica classica, che io ho studiato per dieci anni e anche successivamente al diploma. Poi però ho ricevuto contributi dal metal, dal progressive, dal rock, dal pop, da tante cose. Quindi sicuramente c’è tanto di tutto ciò che voglio riproporre.
Però voglio dire una cosa a proposito della parola innovativo. Secondo me per essere innovativo non bisogna diciamo “scervellarsi” al fine di stupire. Purtroppo spesso è ciò succede in questo periodo che mi sembra un pochino si stasi. Ma cercare l’ innovazione in questo modo è sempre qualcosa di effimero, qualcosa che finisce. Secondo me l’ unico modo di essere innovativi è essere se stessi“.