La memoria delle emozioni 2°
Autore: Barbara Pasqualini
Barbara Pasqualini prosegue con i suoi scritti su: La memoria delle emozioni. In questa 2° parte, affronterà il periodo classico della storia greca.
I Greci
Come ci eravamo ripromessi al termine del nostro primo appuntamento con “La memoria delle emozioni”, torniamo ad occuparci dei ricordi intrinsecamente legati al nostro cuore, parlando di un popolo che ha attribuito enorme importanza alla musica, come attestano non solo documenti ma anche miriadi di leggende: i Greci. Ad onore del vero, l’escursione che mi accingo ad intraprendere con voi mi è particolarmente cara: forse per via dei miei studi liceali classici, subisco enormemente il fascino della cultura greca e del suo concreto legame con la musica. Se torno indietro negli anni, nella mente riecheggiano ancora i versi dei poeti lirici greci studiati al liceo, in tutta la loro meravigliosa musicalità.
Tornando a noi, molte sono le leggende che esplicano il ruolo assolto dalla musica presso i Greci. Ci basti ricordare, a titolo d’esempio, quelle di Orfeo, il cui canto avrebbe trascinato sassi, piante e belve, nonché persuaso gli dei dell’Ade a restituire alla luce la sua sposa Euridice, e di Anfione, figlio di Giove, di cui si narrava facesse muovere spontaneamente le pietre, così da costruire le mura di Tebe suonando la lira. I miti musicali del popolo greco sono bellissimi: ad Apollo, personificazione del Sole, venne attribuito il compito di corifeo, cioè capo delle Nove Muse, ognuna delle quali presiedeva un’arte; la musica veniva personificata nella musa Euterpe. La strabiliante potenza del suono di uno strumento è celebrata anche nel mito di Arione, che, gettato in mare dai pirati, si salvò sulla groppa di un delfino affascinato dal suo canto.
Fig. 1: Edward John Poynter (1836 – 1919) – Orfeo ed Euridice.
Picture 1: Edward John Poynter (1836 – 1919) – Orpheus and Euridyce.
Fig. 2: Orfeo. Antakia (Antiochia), museo dei mosaici.
Picture 2: Orpheus. Antakia (Antiochia), Mosaic Museum.
Fig. 3: Nicolas Poussin (1635) – Apollo e le Muse a Parnaso.
Picture 3: Nicolas Poussin (1635) – Apollo and the Muses on Parnassus.
Fig. 4: Apollo con la chelys-lyra, pittura vascolare greca, museo di Delfi, ca. 460 a.C. [Per la mitologia greca l’inventore della lira fu Hermes. Un giorno il dio trovò all’interno della grotta una tartaruga. Dopo averla uccisa, prese il carapace, e tese al suo interno sette corde di budello di pecora, costruendo così la prima lira. Hermes la regalò poi ad Apollo, e questi al figlio Orfeo. In epoca classica, la lira era in effetti associata alle virtù apollinee di moderazione ed equilibrio, in contrapposizione al flauto, legato a Dioniso e che rappresentava estasi e celebrazione].
Picture 4: Apollo with the chelys-lyra, Greek vase painting, Delfi Museum, ca. 460 a.C. [According to Greek mythology, lyra was created by Hermes. One day the God found a turtle in a cave. He killed the turtle, picked up the tortoise shell and stretched seven gut strings on these, building the first lyra. Hermes gave it to Apollo, and Apollo to his son Orpheus. During the classical period, the lyra was associated to moderation and equilibrium Apollo’s virtues, in contrast with flute, dedicated to Dionysus and representing ecstasy and celebration].
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Fig. 5: Albrecht Dürer, Riding a Dolphin, acquerello, circa. 1514. [L’acquerello rappresenta Arione a cavallo del delfino].
Picture 5: Albrecht Dürer, Riding a Dolphin, watercolor ca. 1514. [Arione rides a dolphin].
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La stessa invenzione degli strumenti era attribuita, dagli antichi, a personaggi divini. Così la lira era stata inventata da Mercurio, il quale, trovato una volta un guscio di testuggine morta i cui filamenti erano disseccati e tesi, ne trasse un suono e decise di trasformare tale guscio in uno strumento. Il flauto, nella forma primitiva di più canne di diversa lunghezza legate tra loro, era lo strumento proprio del dio campestre Pan. Suggestivo il racconto del mito legato all’invenzione di questo strumento. Pan era fondamentalmente un dio silvestre che amava la natura, amava ridere e giocare. Amò e sedusse molte donne tra le quali le ninfe Eco e Piti, la dea Artemide e Siringa, figlia della divinità fluviale Ladone, della quale si innamorò perdutamente.
La fanciulla però non solo non condivideva il suo amore ma quando lo vide fuggì inorridita, terrorizzata dal suo aspetto caprino. Siringa corse inseguita da Pan e resasi conto che non poteva sfuggirgli iniziò a pregare il proprio padre perchè le mutasse l’aspetto in modo che Pan non potesse riconoscerla. Ladone, straziato dalle preghiere della figlia, la trasformò in una canna nei pressi di una grande palude. Pan, invano cercò di afferrarla ma la trasformazione avvenne sotto i suoi occhi. Afflitto, abbracciò le canne senza poter fare più nulla per Siringa.
A quel punto recise la canna, la tagliò in tanti pezzetti di lunghezza diversa e li legò assieme. Fabbricò così uno strumento musicale al quale diede il nome di “siringa” (che ai posteri è anche noto come il “flauto di pan“) dalla sventurata fanciulla che pur di non sottostare al suo amore, fu condannata a vivere per sempre come una canna. Da allora Pan tornò a vagare nei boschi correndo e danzando con le ninfe e a spaventare i viandanti che attraversavano le selve: al dio infatti si attribuivano i sordi rumori che si udivano la notte (da qui il detto “timor panico” o semplicemente “panico”). Il mito è narrato nelle “Metamorfosi” di Ovidio (43 a.C. – 18), poema che raccoglie e rielabora più di 250 miti greci.
Fig. 6: Pan che suona il flauto, Affresco, Reggia di Caserta (Italia).
Picture 6: Pan plays the flute, Fresco, Royal Palace of Caserta (Italy).
Questi semplici esempi rendono bene l’idea di quanto la musica agisse profondamente nella vita degli uomini, che le accreditavano, addirittura, poteri soprannaturali. Ciò è attestato anche dalla stessa etimologia del termine con cui i Greci indicavano la musica, mousiké, che indicava una forma d’arte comprensiva della musica stessa, della poesia, della danza, della medicina e persino delle pratiche magiche.
La curiosità è capire come fosse la musica greca. Dagli scarni documenti rimasti (sette canti ed alcuni frammenti) si desume avesse una struttura molto semplice, basata sulla voce umana e sull’impiego di pochissimi strumenti. Tra questi, primeggiavano l’aulos, un flauto a canna doppia, e la lira. L’interazione tra musica e poesia era tale che generalmente si aveva un’unica figura di musico e poeta, in grado di comporre sia i versi sia le melodie dei canti.
Fig. 7: Atena suona l’aulos. Taranto 375-350 a.C.
Picture 7: Atena plays aulos. Taranto 375-350 a.C.
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Le tematiche celebrate erano di argomento sacro (inni), ma anche avvenimenti della vita sociale ed individuale, quali nozze (imenei), vittorie sportive (epinici), e funerali (treni). I canti venivano eseguiti durante cerimonie religiose come i raduni sacri di Delfi, o i giochi sportivi che avevano periodicamente luogo ad Olimpia ed in altre città greche.
Accanto alla musica lirica, eseguita con una sola voce, si diffuse anche quella corale, il cui ruolo cardine si espletava nelle tragedie, spettacoli drammatici di carattere mitico ed eroico: le parti cantate e danzate erano affidate ad un coro.
Come potete arguire, quindi, quello dell’antica musica greca, a causa della povertà e della contaminazione delle fonti, è un tema estremamente arduo da trattare. Nonostante tutto, è proprio grazie a queste contaminazioni, soprattutto di natura mitologica, che noi possiamo intuire l’enorme considerazione di cui godeva la musica presso i Greci. Questi ultimi, infatti, non attribuivano ad essa solo un potere emotivo, ma addirittura di fascinazione, capace di penalizzare o eccitare la facoltà volitiva, come spiega l’eminente musicologo torinese e storico della musica Massimo Mila (1910-1988).
Proprio da siffatto principio scaturisce la fondamentale teoria dell’etos musicale, formalizzata dal filosofo e compositore Aristosseno (Taranto, IV secolo a. C.), che per primo parlò di musica diastaltica (che produce un atto di volontà), sistaltica (che paralizza la volontà) ed esicastica (che produce uno stato di ebbrezza).
Ebbene sì, anche e soprattutto i maggiori filosofi, compresi Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.) e Platone (427 a.C. – 347 a.C.), e diversi politici, si dedicarono con passione allo studio dei suoni, i primi per conoscerne le origini e gli effetti, i secondi per valutarne l’utilizzazione in campo etico. Dalle citazioni di sì illustri teorizzatori si evince la complessità del corredo precettistico musicale dell’antica Grecia, perennemente in contrapposizione con la povertà strumentale e l’essenzialità idiomatica.
Amanti del bello e di tutto ciò che può elevare lo spirito, i Greci compresero che la musica, unita intimamente all’espressione poetica, era un mezzo prezioso per la formazione dell’uomo. Se scarseggiano le composizioni musicali greche, non mancano numerose documentazioni storiche, fra cui importantissimi i trattati di Aristosseno Tarantino e quelli di altri, che permettono di ricostruire con sicurezza la storia della musica greca, convenzionalmente divisa in quattro periodi: Preistorico, Arcaico, Classico, della Decadenza.
Del periodo Preistorico si è in realtà già parzialmente detto: siamo nel campo della mitologia, ove si favoleggia di vari musici, quali i sopra citati Orfeo, Arione e Anfione, ma anche Lino, di cui si ricorda il Lamento, una specie di canto vendemmiale, menzionato da Erodoto (484 a.C. – 425 a.C.).
Per quanto riguarda il periodo Arcaico, i poemi Omerici parlano di komoi, canti conviviali, preghiere, lamentazioni funebri ed inni nuziali. Apparvero gli aedi ed i rapsodi, vera categoria di musici poeti, che cantavano sulla cetra le leggende del ciclo troiano e tebano. La lirica, poesia accompagnata dal canto e dalla musica, da religiosa, quale era in origine, divenne civile e cantò le imprese degli eroi. Ricordiamo, di questo periodo, Terpandro di Lesbo (712 a.C. – 645 a.C.), compositore di canti liturgici, Clona (VII sec. a.C) e Archiloco di Paro (680 a.C. – 645 a.C.).
All’inizio del VI secolo, in Grecia, Olimpo il Giovane era celebrato quale inventore del genere enarmonico, e Terpandro (nativo di Lesbo e che visse a Sparta) come il vero padre della teoria musicale; quest’ultimo, infatti, compose delle melodie (nomoi) che durarono per tradizione lungo tempo e alle quali fu ascritta, a somiglianza delle melodie indiane, grande influenza sulla morale e sul costume. A lui si tributava pure l’onore di essersi servito di una notazione musicale e di aver aggiunto altre tre corde all’antica lira di quattro corde. Subito dopo, importante per lo sviluppo della musica e specialmente per la teoria fu Pitagora, il celebre filosofo e matematico di Samo (570 a.C. – 495 a.C.) il quale nei suoi lunghi viaggi in Egitto e in Asia ebbe occasione di studiare la musica di quei paesi e di conoscerne i sistemi, che egli introdusse con alcune modificazioni nella sua patria: fu il primo che trovò i rapporti numerici fra i toni, servendosi del monocordo (cassetta risonante, sulla quale era tesa una corda, cui si potevano applicare ponticelli mobili alteranti il tono della corda medesima).
Ma il periodo di maggiore fioritura musicale ellenica è quello Classico. A Sparta sorse il canto corale misto a danze. Stesicoro (630 a.C. – 555 a.C.) fu l’ordinatore della lirica corale, che preannunciava il dramma vero e proprio. Alceo (630 a.C. – 560 a.C.) e Saffo (640 a.C. – 570 a.C.) raggiunsero la perfezione lirica. Sorsero i grandi poeti musici: Simonide di Ceo (550 a.C. – 457 a.C.) , Pindaro tebano (518 a.C. – 438 a.C.) e Bacchilide (520 a.C. – 450 a.C.). Dai canti processionali e dalla lirica corale si sviluppò la tragedia, nella quale poesia, danza e musica sono fuse in perfetto accordo. Gli inimitabili scrittori di tragedie furono Eschilo (525 a.C. – 456 a.C.), Sofocle (496 a.C. – 406 a.C.) ed Euripide (480 a.C. – 406 a.C.).
Per ascolti e infoemail: sophoshiend@gmail.comBruno Fazzini – tel. + 39 347 1402138 |
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